14/11/2019

Le pmi italiane si aprono a governance più articolate per riuscire ad attrarre capitali

fonte MF di Alessandro Dragonetti

Lo scenario italiano delle PMI è cambiato, si è strutturato ed è diventato più resiliente. D’altra parte è opinione prevalente che la struttura estremamente frammentata del nostro sistema economico – con una presenza di imprese di dimensione piccola e microscopica maggiore rispetto agli altri Paesi europei – costituisca un freno alla capacità di innovare e di crescere.

Come emerge dall’Osservatorio 2019, realizzato dall’Università di Pisa e Grant Thornton, in Italia anche le PMI innovative iscritte nell’apposita sezione del Registro delle imprese sono di dimensioni molto contenute (la maggioranza non supera i 10 addetti) e hanno una vita media elevata (8 anni). Le analisi risultanti dal Rapporto Cerved PMI 2018 confermano anche che il sistema imprenditoriale italiano è fortemente basato su proprietà e governance familiari, con 100.000 PMI (su un totale di 150.000) in cui la famiglia esercita il controllo, in molti casi senza l’apporto di soci (74,5%) o di componenti del Consiglio di Amministrazione esterni al nucleo familiare (86,4%). Al crescere del ruolo della famiglia all’interno del capitale sociale si riduce, peraltro, il numero dei soci e l’età media. La presenza diffusa di questo tipo di imprese costituisce un freno alla crescita dimensionale a causa dell’assenza della dialettica, che normalmente si instaura nel caso di distinzione tra proprietà e management, con riferimento alle scelte strategiche e di sviluppo della società. Secondo quanto emerge dal predetto Rapporto Cerved PMI 2018, oltre 5.000 PMI (tra le 150.000 appartenenti alla categoria) presentano (dati 2017) dati economici e finanziari qualificati come eccellenti e, quindi, potrebbero significativamente beneficiarie di apporti di capitale (i.e. da parte dei fondi di Private Equity o attraverso processi di quotazione). In particolare, è stato calcolato che oltre 4.000 PMI potrebbero beneficiare di iniezioni di capitale da parte di fondi di Private Equity, così da raggiungere una dimensione media paragonabile a quella delle società già inserite nel loro portafoglio, il tutto con un impatto di 40 miliardi in termini di maggior valore aggiunto generato. L’effetto che si avrebbe sulle 700 PMI quotabili determinerebbe invece un incremento del valore aggiunto prodotto dalle stesse di 21 miliardi. Complessivamente, si stima quindi un’incidenza di quasi 4 punti percentuali sul Pil.

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Per maggiori informazione, potete contattare Alessandro Dragonetti, Head of Tax e Managing Partner di Bernoni Grant Thornton.

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